Il “Manifesto contro l’editoria” e il dissenso molesto.
Il “Manifesto contro l’editoria” è la storia di un amore a prima vista.
Galeotta fu la trasmissione radiofonica “Pagina 3” di Rai Radio Tre.
Nella puntata incriminata, la conduttrice Silvia Bencivelli, con il classico aplomb e la conduzione sofisticata e avvolgente che la contraddistinguono, si trovò a raccantare dell’editoriale di Pangea sull’attacco tout court al mondo dell’editoria messo in scena alla fiera milanese Book Pride del marzo scorso.
Casus belli: la levata di scudi dell’editore Gog contro il sistema commerciale nel mondo librario e la presentazione del proprio “Manifesto contro l’editoria”. Il piccolo Davide si scaglia contro il possente Golia in uno scontro che sembra segnato in partenza: questo il sunto di 83 pagine di lotta condensata e concentrata non in tubetto ma in pratico volume rilegato.
Quello che doveva suonare come un grido disperato, in un de profundis dell’etica libraria, è diventato un potente ruggito capace di scuotere fondamenta e coscienze ammuffite e stantie. Una litania nata per essere triste commiato, muta gagliarda in un canto d’eroi: sento i tamburi di guerra squassare la viscida palude davanti al Fosso di Helm: l’ordine è di non prendere prigionieri.
L’eco del clamore suscitato dall’azione futurista di Gog ha varcato le mura corazzate della cultura e dell’editoria italiana come un pugilistico gancio ben assestato al mento dell’avversario: la testa del gigante, riversa in uno spasmo di dolore, sembra staccarsi dal corpo.
Le braccia e le gambe mosse da un movimento involontario, sussultorio, quasi ad essere prive di comando senziente, cedono facendo crollare il mostro tutto muscoli e codici ISBN.
Il rumore delle ossa che scricchiolano riecheggiano, ancora adesso, un po’ d’ovunque tra etere e mondo reale.
A volerlo rappresentare graficamente, il “Manifesto contro l’editoria” mi ricorda l’immagine di Fares Udah, celebre bambino palestinese che, armato di due pietre, sfida a sassate la potenza del grosso tank israeliano.
Eroi di tempi e luoghi lontani.
Prendete i miei fottuti soldi!
Trovo l’articolo.
Ringrazio mentalmente le Bencivelli che mi riprometto di seguire in aeternum.
Cerco la casa editrice: farmi arrivare il manifesto a casa è stata questione di qualche click.
Letto in mezz’ora.
Riletto in venticinque minuti.
Amato follemente in meno di quattro secondi netti. Archiviato.
Ma non sono qui né per vendere né per comprare, signore e signori venghino, e non riporterò nemmeno stralici del testo, citazioni dotte e ardite o voli pindarici. I Nostri non potrebbero sopportarlo.
Non essendo questa una recensione ( N-O-N S-I-A M-A-I ), qui non troverete disamine sulle parti portanti del volume e nemmeno opinioni su passaggi più o meno riusciti del testo. Questo Pamphlet – per parlare la dotta lingua degli editori – è una schifezza senza capo né coda che non dovrebbe essere letto da nessuno.
O, altrimenti, è uno dei pochi testi davvero liberi, senza servi né padroni, senza paure di scomodare giudizi taglienti e gogne mediatiche.
Decidete voi.
Un Manifesto di uomini e donne liberi, anzi liberati, dal giogo castrante del turbocapitalismo culturale. Liberi dal leccaculismo servile tanto caro a masse inette di bifolchi disabituati a dissentire, a porsi delle domande, a coltivare un minimo senso critico.
Il manifesto dalla parte dei cattivi.
Non compratelo questo Manifesto: è una merda. Rischia di farvi fermare a pensare, di farvi incazzare contro un mondo iniquo e ingiusto. Averlo tra le mani potrebbe folgorarvi come Saulo sulla via di Damasco rendendovi uomini e donne nuovi. Liberi e felici, lontani da logiche di mercato e indici di gradimento.
Comprare questa bellissima schifezza letteraria e sostenere gentaglia come questi geniali emuli del miglior Papini, rischia di rifarvi mettere in gioco. Io, ad esempio, ho scelto di fare coming out e dire a tutti che amo la Filosofia, che della Filosofia sono un credente e un timido praticante e che questa lettura mordi e fuggi mi ha fatto ridisegnare questo Blog. Una goccia di ricerca in un mare di culi e personal trainer della social networking 3.0.1.
Questo Manifesto meraviglioso rischia di ridarvi il coraggio che avevate perduto, nella vostra trasformazione che da incendiari vi ha reso pompieri senza nemmeno rendervene conto.
Coraggio di supportare gente che decide di chiamarsi fuori, di suicidarsi volontariamente uscendo da quello schiacciasassi guidato da indici di produttività, gross-profit, proiezioni di marketing. Fuori da plasticosi universi fatti di modelle accessoriate da mettere in sterili stand a sorridere sterilmente ad automi a cui è stato disimparato a ragionare, sterilizzati e puliti, intellettualmente pudici senza più volontà e anima.
Questa moderna e variopinta Armata Brancaleone dell’editoria moderna (a proposito della professionalità, iscrivetevi alla loro brillante mailing list, non ve ne pentirete) mi ha spinto a “tornare fuori” rimettendomi in gioco, anche se io ammetto di aver ben poco da perdere.
…oltre la barricata.
Sostenere questi novelli Donchisciotte, piloti di un Boing 747 in caduta libera verso le Montagne della Follia, vuol dire passare il solco. Stare dalla loro parte significa riprendere il coraggio di appoggiare chi si pensa essere dalla parte del giusto, anche se questo vuol dire andare incontro al disastro.
Sostenere Gog in questa battaglia impari vuol dire schierarsi dalla parte dei cattivi, di quelli coi calzoni corti e la fionda nella tasca posteriore, e non chiedo a chi leggerà queste pagine di farlo per partito preso. Fate il cazzo che volete insomma: ci siamo capiti.
Imparate a dissentire da tutto e tutti, pensate liberamente, informatevi e traete le vostre uniche considerazioni.
E infine schieratevi.
Costi quello che costi, fino all’ultimo respiro.
(Lunga vita e prosperità a Gog).