I “Dialoghi sopra i massimi sistemi”, di galileiana memoria, sono degli esercizi di comprensione degli infiniti mondi che convivono nella comunicazione umana.
Capirsi “girando gli occhi dentro sé”, è un esercizio che giornalmente provo a fare al meglio delle mie capacità. Conscio dei limiti di conoscenza che mi porto dietro dagli studi sbagliati, mi affanno, spesso, alla ricerca di quello che ho irrimediabilmente perduto.
Cerco di comprendere gli affascinanti meccanismi della parola leggendo tutto quello che posso; prendo appunti, salto di libro in libro cercando di capire, sperando di trovare uno spazio all’interno del tutto.
Come fossero i puntini da unire nei giochi fatti sotto l’ombrellone, provo a mettere insieme i pezzi di antiche conoscenze trovando loro un posto, in un presente sempre più indecifrabile e caotico.
Non avendo solide basi vago: come un cieco in un labirinto di verità svelate, a molti conosciute, a me del tutto oscure avanzo, pieno di curiosa speranza e di indomita voglia di capire.
Acquisto libri in maniera compulsiva, in una bulimia di carta e inchiostro, lontano dal pensiero schopenhaueriano del “sarebbe bene comprare libri, se insieme si potesse comprare il tempo per leggerli.” Ma non posso farne a meno, sono patologicamente incline all’acquisto e all’accumulo di nuovi volumi. Li impilo in altezza, in una moderna Torre di Babele che mi spinge lontano dal cielo. Mi trovo distante dall’idea di una conoscenza osmotica, utilitaristica, fatta di sole nozioni fine a se stesse, di citazioni emozionali usate per condire indebitamente foto di culi femminili in bella mostra. Rifuggo dalla cultura take away da sfoggiare su impersonali social network.
I miei “Dialoghi sopra i massimi sistemi” sono terapie verbali, ricerche di un punto di vista non ancora considerato. Sono strade non ancora battute negli infiniti sentieri della mia esistenza. Dialoghi che mi aiuteranno, se non a capire un po’ di più, almeno a mettermi in discussione. Un modo per buttare sul piatto i miei valori, le mie esperienze e le mie convinzioni condividendole con gli altri. Cambiando i miei punti di vista, se sentirò di doverlo fare. Non per compiacere ma per assecondare un mutamento iniziato con l’inizio della vita.
Una serie interminabile di incontri chiamati a dare un senso a un fermento celebrale, riscoprendo il piacere squisito dell’essere contro l’opinione imparante del momento. Disporsi volontariamente a margine dal pensiero unico, dalla manomissione terroristica delle parole e delle opinioni, dalla narcosi del libero pensiero.
Lo devo a me stesso: perché ho imparato che muoversi è l’unico modo per cambiare. A stare fermo, non succede nulla. Lo devo ai miei figli: perché un mondo governato dalla ragione è possibile.
Ho fatto pace con le parole e ho iniziato a camminare.
A presto.